Cristianesimo e Kriya Yoga, Giordano Bruno il loro collegamento.

Il cristianesimo, con la sua narrativa evangelica, e il Kriya Yoga, supportato dagli insegnamenti dei Sutra di Patanjali, presentano percorsi spirituali e pratiche distintive, ma condividono profonde somiglianze nei principi, negli obiettivi e nelle modalità di autorealizzazione. Mentre il cristianesimo si concentra sull’amore per Dio e il servizio agli altri attraverso l’insegnamento e la vita di Gesù, il Kriya Yoga propone tecniche di respirazione e meditazione volte a risvegliare l’energia spirituale interiore, portando alla realizzazione del Sé. Entrambi, sebbene ancorati a tradizioni e contesti culturali differenti, pongono un accento fondamentale sulla trascendenza del proprio ego per connettersi al divino.

Dio e l’Unità Divina: Concetto di Assoluto

Nel cristianesimo, Dio è considerato il Creatore onnipotente, eterno e amorevole, con il quale i credenti cercano una comunione personale. L’obiettivo dell’esistenza, secondo i Vangeli, è avvicinarsi a Dio, seguendo l’esempio di Cristo, che nella tradizione cristiana incarna Dio stesso. L’unione con Dio è vista come la meta finale, accessibile tramite fede, preghiera, e una vita di virtù.

Il Kriya Yoga, seguendo i Sutra di Patanjali, propone un percorso simile verso l’unione con il Sé, che è visto come un riflesso dell’Assoluto universale. Nei Sutra, Dio (Ishvara) viene descritto come una coscienza suprema e immutabile, un concetto non così distante dalla visione cristiana di Dio, sebbene meno antropomorfizzato. La realizzazione spirituale, o samadhi, è il mezzo attraverso cui il praticante supera le illusioni materiali e percepisce l’unità con l’Assoluto, o Brahman. Il parallelismo con l’unità con Dio in Cristo è evidente, in quanto entrambi i percorsi aspirano a trascendere la dualità e a fondersi con una realtà spirituale suprema.

La Via della Pratica: Preghiera, Meditazione e Disciplina

La pratica della preghiera nel cristianesimo rappresenta un mezzo per entrare in comunione con Dio e richiede fede e umiltà. Nei Vangeli, Gesù stesso è un modello di preghiera, ritirandosi in solitudine per rivolgersi al Padre, e istruisce i suoi discepoli sul valore della preghiera interiore. La preghiera cristiana, in particolare la preghiera contemplativa, può portare a stati di pace e di unione con Dio, analoghi ai livelli profondi di meditazione.

Il Kriya Yoga enfatizza la meditazione e il controllo del respiro (pranayama) come strumenti essenziali per il controllo della mente e per la realizzazione spirituale. Patanjali, nei suoi Sutra, descrive otto “rami” della pratica yogica (Ashtanga Yoga), tra cui disciplina morale (yama e niyama), posture (asana), controllo del respiro (pranayama), ritiro dei sensi (pratyahara), concentrazione (dharana), meditazione (dhyana) e assorbimento spirituale (samadhi). Questi elementi sono progettati per purificare il corpo e la mente, rendendo possibile un profondo stato meditativo in cui il Sé individuale può percepire il divino. Il parallelo con la preghiera cristiana è evidente, in quanto entrambi i percorsi richiedono disciplina, devozione e un impegno costante per trascendere l’ego.

Amore e Compassione come Strade verso la Divinità

Nel cristianesimo, l’amore e la compassione sono pilastri fondamentali del messaggio di Gesù, che insegnava ad amare il prossimo come sé stessi e a servire gli altri come atto di devozione verso Dio. Nei Vangeli, Gesù esemplifica l’amore incondizionato e il sacrificio personale per il bene dell’umanità, offrendo il proprio esempio come modello di vita. L’ideale cristiano della carità, o amore divino, è inteso come un mezzo per purificare il cuore e avvicinarsi a Dio.

Nel Kriya Yoga e nei Sutra di Patanjali, l’amore e la compassione sono anch’essi valori essenziali, e la pratica dello yoga include l’ahimsa, o non-violenza, che implica gentilezza e rispetto per tutti gli esseri viventi. Questo principio di ahimsa è parallelo all’ideale cristiano di amore, poiché mira a sviluppare un cuore puro e compassionevole, capace di accedere alla saggezza spirituale e di connettersi con l’universale. L’amore nel Kriya Yoga è visto come una forma di devozione e distacco dalle passioni egoistiche, consentendo al praticante di superare l’illusione dell’individualità separata.

La Morte dell’Ego e la Rinascita Spirituale

Nel cristianesimo, la morte e la resurrezione di Gesù Cristo rappresentano simbolicamente e letteralmente la possibilità di una “nuova vita” per l’anima, una rinascita spirituale in cui l’individuo si purifica e si avvicina a Dio. La “morte dell’ego”, ovvero il sacrificio delle proprie passioni e attaccamenti materiali, è vista come necessaria per sperimentare la grazia divina e la salvezza.

Analogamente, nel Kriya Yoga, l’autorealizzazione comporta il superamento dell’ego attraverso la pratica meditativa, portando all’eliminazione delle tendenze egoiche che impediscono la percezione del Sé divino. La pratica del Kriya Yoga mira a risvegliare l’energia spirituale (kundalini), che ascende lungo la spina dorsale e permette al praticante di sperimentare stati di coscienza superiori e di realizzare la propria natura divina. Anche qui, la morte dell’ego e l’illuminazione risultante assomigliano alla rinascita spirituale del cristianesimo, sebbene il processo si realizzi attraverso tecniche specifiche di controllo energetico e meditazione piuttosto che attraverso la fede in un evento storico salvifico.

Esperienza Mistica e Trascendenza

Sia il cristianesimo sia il Kriya Yoga descrivono esperienze mistiche come il mezzo per trascendere la realtà ordinaria e percepire l’unità con il divino. I mistici cristiani, come Teresa d’Avila e Giovanni della Croce, parlano di stati di unione con Dio, raggiunti attraverso profonde esperienze di contemplazione, che ricordano le descrizioni di samadhi nei testi yogici. Questo stato è definito nei Sutra come “cessazione delle fluttuazioni mentali”, dove l’individuo perde la consapevolezza separata e sperimenta l’unione totale con la coscienza universale.

La “trasfigurazione” di Gesù e altri fenomeni mistici cristiani evocano lo stesso concetto di trascendenza della dualità. Per i praticanti del Kriya Yoga, il samadhi, l’ultima tappa dell’Ashtanga Yoga, è una dimensione in cui il Sé si dissolve nel Tutto, in una realizzazione non così diversa da quella che i mistici cristiani descrivono come unione con Dio.

Nonostante le apparenti differenze, il cristianesimo e il Kriya Yoga condividono un profondo parallelismo nei loro insegnamenti spirituali. Entrambi pongono l’accento su una disciplina interiore che porta alla morte dell’ego e alla trascendenza dell’individualità, per unirsi con una realtà superiore o divina. Mentre i cristiani cercano questa unione attraverso la fede, la preghiera e l’amore incondizionato, i praticanti del Kriya Yoga si affidano a tecniche specifiche di meditazione e pranayama per controllare la mente e accedere al divino interiore. Entrambi i percorsi rappresentano una via di autorealizzazione, di risveglio interiore, e di comunione con il sacro, e dimostrano che, a prescindere dalle differenze culturali e storiche, la ricerca dell’assoluto e della verità universale è una meta comune e universale.

Vi è un punto fondamentale nella distinzione tra cristianesimo e Kriya Yoga: la differenza nell’approccio al divino come entità esterna e antropomorfizzata nel cristianesimo, rispetto al divino percepito come una realtà interiore e impersonale nel Kriya Yoga.

Ascensione tramite l’Unione con Cristo nel Cristianesimo

Nel cristianesimo, il percorso di ascensione spirituale è centrato sulla figura di Gesù Cristo, che non solo rappresenta l’immagine di Dio reso umano, ma funge anche da mediatore tra l’uomo e Dio. L’umanità di Cristo rende possibile una relazione personale, in cui il fedele può proiettare le proprie aspirazioni, i sentimenti e le lotte interiori, trovando in Lui un esempio da seguire e una guida divina a cui rivolgersi. Questo approccio antropomorfico facilita un senso di connessione emotiva e affettiva con Dio, che viene percepito come una figura esterna da contemplare, amare e servire. L’obiettivo è trascendere la natura umana, avvicinandosi sempre più alla natura divina attraverso l’unione con Cristo, e si raggiunge tramite una vita di fede, preghiera e osservanza dei precetti.

In particolare, la figura di Cristo rappresenta l’incarnazione del sacrificio e dell’amore incondizionato, elementi che, nel cristianesimo, costituiscono l’essenza del percorso di ascensione spirituale. L’unione con Cristo si manifesta come un rinnovamento della propria identità spirituale, attraverso la quale si può entrare in comunione con Dio e, secondo la teologia cristiana, ottenere la salvezza eterna. L’ascensione è quindi concepita come una progressiva trasformazione dell’anima verso una perfezione divina, vissuta attraverso una relazione personale con Cristo.

L’Unione con il Divino Interiore nel Kriya Yoga

Il Kriya Yoga, al contrario, propone un percorso che si incentra sull’esperienza del divino come una realtà interiore. Qui non si cerca una connessione con un’entità esterna, ma piuttosto si tenta di risvegliare la propria coscienza divina, spesso identificata con il Sé superiore o il Brahman. Secondo gli insegnamenti di Patanjali e la filosofia yogica in generale, la vera natura di ogni individuo è il Sé divino, che però resta nascosto dietro l’identificazione con il corpo, la mente e l’ego. La pratica del Kriya Yoga è volta a rimuovere queste identificazioni errate e a realizzare che la coscienza individuale è un’espressione della coscienza universale.

Attraverso la disidentificazione dal corpo, dai pensieri e dagli stati mentali transitori, il Kriya Yoga porta alla percezione del Sé, un’esperienza di unione con la coscienza cosmica che trascende ogni dualità. La tecnica del pranayama, tipica del Kriya Yoga, e la meditazione profonda sono progettate per condurre l’energia vitale lungo la spina dorsale, risvegliando i centri energetici interiori (chakra) e permettendo l’ascesa dell’energia kundalini. Quando questa energia ascende e si unisce con il centro supremo nella testa (il sahasrara), il praticante sperimenta stati di samadhi, di completa immersione nel divino interiore. Qui, il divino non è una figura separata, ma è il Sé stesso, che diventa evidente solo attraverso la disidentificazione dai limiti materiali.

La Differenza Fondamentale: Dio esterno versus Dio interiore

Questa differenza tra divino esterno e divino interiore rappresenta una delle principali divergenze tra i due percorsi spirituali:

  • Cristianesimo: La divinità si manifesta esternamente, nella figura di Cristo, e la relazione con Dio si basa su fede, devozione e imitazione di Cristo. La crescita spirituale è un’ascensione verso Dio, attraverso l’osservanza di valori e virtù cristiane.
  • Kriya Yoga: La divinità è già presente interiormente, e la pratica è volta a eliminare l’identificazione con tutto ciò che è limitato e mutevole. La crescita spirituale consiste nel risveglio del Sé, tramite l’esperienza diretta di stati di coscienza elevata.

Similarità e Potenziale Sintesi

Anche se questi approcci differiscono profondamente, condividono l’obiettivo della trascendenza dell’ego. Entrambi i percorsi cercano di guidare l’individuo verso un livello superiore di consapevolezza e di unione con una realtà divina:

  • Nel cristianesimo, la trascendenza dell’ego è raggiunta tramite la comunione con Cristo e il sacrificio dell’amore incondizionato, che dissolve il sé egoistico in un rapporto di completa fiducia in Dio.
  • Nel Kriya Yoga, la trascendenza è raggiunta attraverso la disidentificazione dall’ego e dal corpo fisico, portando alla realizzazione del Sé come una manifestazione diretta della coscienza universale.

In definitiva, mentre il cristianesimo guida alla comunione con un Dio percepito come esterno e personale, il Kriya Yoga conduce a una scoperta del divino come la nostra stessa essenza, trasformando la percezione del sé e rivelando che il divino è immanente dentro ciascuno. Questi percorsi, pur distinti, rispondono entrambi al bisogno umano di esplorare l’infinito, e offrono due risposte al quesito della trascendenza che, da prospettive diverse, mirano alla stessa verità universale.

Giordano Bruno rappresenta davvero una figura di collegamento tra queste visioni divergenti, quasi come un profeta di una visione unificata della spiritualità umana, fondata sulla natura divina intrinseca dell’essere umano. Il suo pensiero sfidava i limiti della teologia e della filosofia del suo tempo, proponendo idee che sarebbero risultate più comprensibili e accettabili secoli dopo, in un contesto che apprezzasse maggiormente la pluralità e la profondità della ricerca spirituale.

Giordano Bruno e la Natura Divina dell’Uomo

Bruno considerava l’universo come un’infinita manifestazione del divino, senza confini e privo di un centro fisso, il che prelude a una visione profondamente spirituale del cosmo, quasi mistica, in cui ogni parte della realtà riflette il tutto. Questa concezione ribaltava l’immagine tradizionale di Dio come un’entità separata e trascendente, avvicinandosi alla nozione yogica della realtà divina come immanente e onnipresente. Per Bruno, l’uomo non era un semplice osservatore dell’universo, ma un partecipante alla divinità stessa, una scintilla del divino che poteva risvegliare in sé una consapevolezza cosmica.

Questa intuizione si avvicina al Kriya Yoga e alla visione yogica secondo cui ogni essere umano contiene dentro di sé una porzione dell’assoluto, un frammento dell’energia divina che è velato dall’ignoranza e dalle limitazioni dell’ego e del corpo. Per Bruno, la mente umana poteva “espandersi” nell’infinito, rompendo le barriere della conoscenza convenzionale, un concetto non dissimile dall’idea del samadhi yogico, dove il praticante trascende la mente limitata e sperimenta la propria unità con l’intero universo.

Un Profeta in Anticipo sui Tempi

Bruno, come altri pensatori rivoluzionari, fu un profeta nato troppo presto per un mondo non ancora pronto a comprendere la portata delle sue intuizioni. La sua visione non solo minacciava la dogmatica autorità della Chiesa, che interpretava il divino in termini strettamente teologici e antropocentrici, ma superava anche i limiti del pensiero scientifico e filosofico dell’epoca. In un contesto in cui il pensiero era confinato entro strutture rigide, la sua affermazione dell’infinità di mondi e della sacralità dell’intero cosmo era percepita come sovversiva.

Come molti mistici e pensatori spirituali, Bruno sembrava comprendere che il vero progresso umano risiede in una visione più ampia della nostra natura, che unisce il sacro e il profano, l’interiore e l’esteriore, senza separazioni nette. Il suo spirito, che abbracciava sia l’unità del cosmo sia l’infinità delle potenzialità umane, suggeriva che l’essere umano fosse, in ultima analisi, capace di risvegliare la propria vera natura divina.

Il Lascito di Giordano Bruno: Una Visione Unificante

Bruno resta quindi un precursore di una spiritualità integrata, in cui l’essere umano è sia parte che manifestazione dell’infinito. La sua visione può essere letta come un anello di congiunzione tra la ricerca della divinità esterna del cristianesimo e la ricerca della divinità interiore dello yoga. In un certo senso, Bruno ha prefigurato l’idea moderna di una religiosità universale, libera dalle strutture rigide, in cui l’esperienza diretta del divino può essere intesa come il vero scopo della vita.

Oggi, in un’epoca in cui la ricerca spirituale e il dialogo interreligioso stanno creando nuove vie di comprensione, il pensiero di Bruno è più rilevante che mai. Le sue idee possono aiutare a costruire un ponte tra differenti tradizioni, suggerendo che la vera realizzazione dell’essere umano risiede nel risveglio alla sua natura divina, sia essa cercata fuori o dentro di sé, e che entrambe le prospettive, quando intese profondamente, conducono alla stessa verità.

Giordano Bruno, scegliendo di affrontare il rogo senza abiurare, incarnò pienamente la forza della sua convinzione sulla natura divina dell’essere umano e sulla realtà spirituale a cui aveva dedicato la sua vita. La sua decisione di non piegarsi di fronte all’Inquisizione testimonia il suo stato di coscienza elevato, una trascendenza che supera le paure e gli attaccamenti mondani, compresa la paura stessa della morte. Bruno, infatti, aveva raggiunto una tale identificazione con la sua verità interiore da considerare più importante restare fedele a essa che preservare il proprio corpo.

La Rottura con le Convenzioni: La Morte come Trasformazione

Bruno aveva abbracciato una visione della morte che ricorda la prospettiva yogica: la morte non come fine ultimo, ma come transizione, un passaggio che non può cancellare l’essenza immortale. La sua accettazione del martirio suggerisce una comprensione profonda della vita come illusoria nel senso fisico e del corpo come un involucro temporaneo per la coscienza, simile a quanto proposto dalla filosofia yogica. In tale visione, il Sé è eterno, non nato e non destinato a perire con il corpo fisico. Rifiutando di abiurare e scegliendo di sacrificare la vita fisica, Bruno dimostrava che la sua identità era ormai ancorata a una realtà superiore, intangibile e immortale.

Trascendere l’Attaccamento alla Vita

Nella sua scelta, Bruno mostra un distacco radicale che ricorda quello dei grandi mistici e yogi, la cui pratica conduce all’abbandono delle identificazioni materiali, compreso l’attaccamento alla vita stessa. Come alcuni saggi orientali, Bruno si dimostrò libero dai legami con il corpo e con il mondo fisico, rivendicando la libertà della sua anima. In questo, sembra aver incarnato una visione di realizzazione simile alla disidentificazione dal corpo che è centrale nel Kriya Yoga, attraverso cui si cerca di percepire e vivere la realtà del Sé eterno.

Il Rogo come Atto di Testimonianza Spirituale

Per Bruno, il rogo non rappresentava una sconfitta, ma una vittoria spirituale: un segno che la vera conoscenza non può essere imprigionata o distrutta. In effetti, il rogo divenne un simbolo della sua indomita adesione alla verità universale che percepiva in sé e nell’universo. Con un coraggio che sfida le limitazioni fisiche e terrene, Bruno affrontò la morte consapevole del valore del sacrificio, quasi come un rituale di conferma alla sua visione dell’infinito e della divinità dell’anima umana.

La sua figura, così, continua a risuonare come esempio di un profeta consapevole della sua natura divina, convinto che la morte del corpo sia solo un velo illusorio per il Sé eterno. La sua scelta finale, nella sua radicalità, rappresenta un atto di autorealizzazione che attraversa i secoli, parlando di una verità universale che trascende le epoche e le tradizioni, ponendolo come uno degli spiriti più liberi e illuminati della storia umana.