Che approccio dare alla vita? È una domanda che a volte ci si pone e di non semplice soluzione.
Semplificare o generalizzare è difficile, tuttavia, cercheremo di dare un punto di vista funzionale.
Da sempre l’essere umano cerca di dare un senso alla propria vita e agli eventi che lo coinvolgono, il più delle volte partendo dal presupposto che ciò che accade sia esterno a noi in un rapporto di casualità più che di causalità.
Ritengo piuttosto vero il contrario, l’ambiente in cui viviamo e le relative relazioni sono il risultato di una concatenazione che nasce dalla nostra visione della vita e del senso che le diamo.
Cercherò di semplificare nella speranza di non banalizzare.
Poniamo di poter dividere in due approcci base il senso dell’esistenza: siamo qui per godere; siamo qui per imparare.
Nel primo caso l’approccio non potrà che essere edonistico, con una ricerca del piacere e fuga dalle esperienze dolorose. Come un surfista che passa di onda in onda cercando di rimanere sulla cresta per godere della cavalcata perfetta.
Attitudine molto umana e comprensibile, il piacere e lo stare bene è una situazione positiva, chi non lo vorrebbe?
Il pericolo si nasconde nel cercare compulsivamente solo ciò, fuggendo dall’affrontare i problemi che le nostre azioni necessariamente ci portano a dover risolvere, e tale pericolo si manifesta nel cambiare onda, situazione, ogniqualvolta al piacere si sovrappone il fastidio o il dolore.
I problemi non affrontati e irrisolti non scompaiono, si ripresenteranno ciclicamente sempre più grevi fino ad affossarci.
Nel secondo caso l’approccio sarà quello del ricercatore, che anziché fuggire dai problemi, con l’aiuto della logica li analizza e ne cerca radici e soluzioni, come il palombaro che si immerge nell’oscurità degli abissi per esplorarli e conoscerli.
Senza palombari la nostra civiltà sarebbe lungi dai traguardi di conoscenza attuali.
Anche qui il pericolo si nasconde nel cercare compulsivamente solo ciò.
Anche il palombaro più esperto sa che non si può essere sempre immersi nelle profondità, pena la perdita di sé stessi, la vita va vissuta anche in leggerezza e a volte lasciare che sia per non trasformarla in un asettico esperimento privo di emozioni e sentimenti, aspetti fondamentali del nostro essere umani. Senza i quali risultiamo anaffettivi e disumani.
Il mare che rappresenta la nostra esistenza va vissuto possibilmente a pieno, capendo quando è giusto surfare in allegria e compagnia e quando invece tuffarsi negli abissi immergendosi nelle meraviglie della conoscenza e della consapevolezza.
La vita come ogni mare che si rispetti a volte presenta tempeste e uragani, in quel caso non serve essere né palombaro né surfista, non rimane che fare il bravo comandante che cerca di mantenere una rotta sicura con il timone saldo in mano, consapevole che prima o poi finirà.
Allora deciderà se rilassarsi un po’ come surfista o comprendere meglio l’accaduto come palombaro. In consapevolezza.
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